La generazione XD
di Ezio
In che modo l’avvento di nuovi sistemi di comunicazione influisce sul linguaggio e sulle modalità di relazione e comunicazione, in particolare fra le nuove generazioni (principali utilizzatrici dei supporti digitali)?
E’ possibile, a mio avviso, esaminare il fenomeno da due punti di vista: quello della forma e quello della funzione.
Le principali innovazioni formali portate dai sistemi di messaggistica istantanea (telefonica o informatica) sono due: l’uso sempre più diffuso di abbreviazioni ( come “xkè?” o “4ever”), e le cosiddette emoticons, combinazioni alfanumeriche volte a rappresentare determinate mimiche facciali.
L’utilizzo di abbreviazioni è, a mio avviso, molto meno significativo che quello di emoticons. L’abbreviazione è frequentemente basata su acronimi (lol = laughing out loud, sbellicarsi dal ridere) o sulle omofonie (uguaglianza di suoni) fra simboli diversi: ad esempio, sfruttando la somiglianza, fra la pronuncia in lingua inglese di 4 (“four”) e di “for”, di “you” e della lettera “u”, di “are” e della lettera “r”, della pronuncia di “the” e “da” e del suono “xt” con “est”, è possibile scrivere “you are the best forever”, 20 caratteri, come “ur da bxt 4ever”, 12 caratteri.
Questo tipo di abbreviazione è semplicemente giustificata dal bisogno di scrivere velocemente e, possibilmente, di impiegare pochi caratteri, per risparmiare tempo e qualche centesimo mantenendo inalterato il contenuto del messaggio. Essa non comporta mutamenti sostanziali nella struttura della frase, se non un certo impoverimento del linguaggio, dovuto, in verità, più alla necessità di stringare al massimo le frasi che alle abbreviazioni in sé.
E’ tuttavia un dato di fatto che il linguaggio abbreviato degli sms abbia lentamente cominciato a fuoriuscire dal suo ambito di provenienza; i giovani di oggi, più avvezzi alla tastiera che alla penna, sempre più di frequente utilizzano le suddette forme anche nella scrittura quotidiana. In questo non c’è nessun male, purché si riesca a mantenere chiaro un discrimine fra quando si prende un veloce appunto e quando si cerca di scrivere qualcosa in un italiano corretto; Non è raro, infatti, imbattersi, nei compiti in classe, in forme più da Doretta (il programma auto-rispondente di msn) che da Accademia della crusca!
L’emoticon, invece, è qualcosa di relativamente rivoluzionario.
Essa è l’evoluzione dell’onomatopea.
Questa si prefigge di rendere la suggestione fonetica di un concetto, in modo esplicito, utilizzando una parola coniata “ad hoc” (“clof”, “clop”, “cloch” ecc.) e priva di altro significato, o in modo implicito, tramite un termine il cui suono evochi per assonanza il suo significato (“rombo”, “bisbiglio”, “sussurro”).
La prima, invece, non mira più a riprodurre un linguaggio verbale o sonoro, ma quello immediato dei gesti e degli sguardi: è la rappresentazione stilizzata di un’espressione del volto tramite l’utilizzo di lettere o segni d’interpunzione.
Esempi classici sono il sorriso : ) , o la faccia triste : ( , o stupita 😐 , o l’occhiolino ; ) , o il proverbiale XD.
XD rappresenta un volto contratto in un ghigno divertito, una risata a denti stretti che ricorda tanto lo stile dei fumetti giapponesi.
E in effetti, questa espressione facciale, così diffusa nel linguaggio informatico, non fa certo parte del comune repertorio che utilizziamo nel nostro relazionarci quotidiano; è piuttosto anomala, e, forse, un po’ ipocrita: cosa penseremmo, infatti, se a un nostro motto di spirito si rispondesse strizzando gli occhi e digrignando i denti?
Ed è proprio partendo da questa considerazione che è possibile cogliere la peculiarità del linguaggio delle emoticon: il consentire di indossare e togliere, a comando, delle maschere perfette ed impermeabili.
La possibilità di fingere, nelle relazioni umane, non è certamente qualcosa di nuovo; ma si può notare come, con l’evolversi delle forme di comunicazione, fingere sia diventato sempre più facile.
Si comincia dal linguaggio diretto, verbale, fatto di parole, ma anche di sguardi, toni di voce.
Un individuo intenzionato a fingere nella comunicazione diretta deve sforzarsi a modulare i suoni, a non tradirsi con le espressioni del viso. Non è affatto facile fingere di divertirsi davanti a qualcosa di banale o di cattivo gusto, non è affatto facile fingersi calmi quando dentro di sé si agitano delle passioni verso la persona che si ha di fronte.
Con l’avvento del linguaggio mediato tramite la scrittura, fingere è diventato molto più agevole. Chiunque può scrivere qualcosa che non pensa, senza rischiare di essere tradito da uno sguardo o da una vibrazione nella voce.
Tuttavia, il carattere mediato del linguaggio scritto agevola tanto la mistificazione quanto la demistificazione: non c’è nulla di più facile che sospettare della falsità di qualcosa di scritto.
Ed è qui che l’emoticon compie il passo ulteriore.
L’utilizzo di “faccine” rende la finzione ben più verosimile.
E’ infatti noto che dei meccanismi interni al nostro cervello, di cui sono responsabili i neuroni specchio, rendono automatico un processo empatico nei confronti dell’espressione della persona che ci si trova di fronte, provocando una parziale “sospensione dell’incredulità”, come quando ci si commuove vedendo qualcuno piangere, o si sorride di fronte a qualcuno che ride, anche ignorando le cause dell’uno o dell’altro comportamento.
Non è difficile, infatti, osservare come sia più credibile ed efficace, per suggerire l’idea del divertimento, una faccina che si sbellica dal ridere rispetto all’equivalente fredda scritta “ahahah”.
Cosa comporta tutto questo?
La conseguenza è che, come accennavo, le emoticons, affermatesi nel linguaggio prima dei cellulari e poi dei social network come mezzi per stemperare la freddezza e l’impersonalità delle parole scritte nei caratteri codificati di un computer, non hanno fatto che rendere ancora più superficiale e fasullo il linguaggio medesimo.
Si può fingere di sbellicarsi dal ridere con l’apposita faccina, ben meglio di come si potrebbe fare con le semplici parole, fingere di essere cortesi inserendo un sorriso nelle frasi, fingersi dispiaciuti digitando l’emoticon corrispondente all’omino con le lacrimucce: ma la persona che sta dall’altra parte dello schermo risulta ancora più inconoscibile.
L’emoticon, dunque, non è necessariamente sintomo di ipocrisia, ma, volendo, mette nelle condizioni di potere indossare a piacimento delle maschere, di giocare con l’empatia rendendo ancora più difficile capire quando il proprio interlocutore è sincero e quando non lo è.
Oltre alle innovazioni formali, costituite dalle abbreviazioni e dalle emoticons, va considerato anche un mutamento funzionale.
La lettera non era pensata per sostituire il linguaggio orale, ma per essere un prolungamento di esso. Si ricorreva alla scrittura quando era impossibile comunicare di persona, quando l’altra persona era fuori dalla portata del “faccia a faccia”.
Oggi, invece, la messaggistica istantanea (msn, facebook… ) attinge direttamente al tempo che le generazioni precedenti avrebbero dedicato alla frequentazione diretta.
Essi assumono il ruolo di una “piazza virtuale”, di accesso comodo ed istantaneo ed illimitata estensione, provvista di cinema, musica e quant’altro si possa desiderare, dove trascorrere i tempi morti; raramente sono utilizzati perché necessari: molto più spesso, come un passatempo, un intrattenimento fine a sé stesso.
E’ però un fatto che in questa piazza, pur nell’affollamento, ciascuno si ritrovi, in fondo, da solo.
In mezzo al frenetico “condividere”, quello che manca è proprio la condivisione; quella diretta, fatta anche di sguardi, di vicinanza materiale, di contatti, di risate, di lacrime.
L’esperienza del contatto personale, reale, rimane dunque indispensabile ed irrinunciabile: un rapporto che non si alimenti alla fonte del tempo speso insieme e della frequentazione diretta è quasi inevitabilmente destinato ad avvizzire e morire.
Come riporta Bauman nel suo Paura liquida, quando il vicino diventa immediatamente raggiungibile con un clic, egli in realtà sprofonda in una distanza incolmabile.
Possiamo quindi parlare di una nuova “solitudine da social network”, fatta di “condivisioni” pubbliche ed “amicizie” virtuali, che risultano, da sole, profondamente insignificanti.
Non è difficile cogliere un nesso fra questo contesto e quei tragici suicidi, prevalentemente giovanili, compiuti improvvisamente, inaspettatamente, da individui descritti da tutti i conoscenti come “tranquilli e normali”, magari apparentemente integrati e circondati da amicizie virtuali, ma in realtà profondamente soli e bisognosi di vero calore umano, ascolto, comprensione.
Quali potranno essere le conseguenze sociali a lungo termine di rapporti umani resi sempre più epidermici dai mutamenti del linguaggio e da frequentazioni virtuali, è qualcosa che solo il tempo potrà mostrare; non è, tuttavia, difficile intuire che porteranno ad una società, paradossalmente, più individualista e più socializzata al tempo stesso, fatta di vite pubbliche e persone che sanno tutto di tutti, ma in realtà non conoscono né chi le circonda né sé stesse, e si trovano, per questo, fondamentalmente da sole.
Sembra divertente XD!
20 settembre 2010
Categorie: Riflessioni . Tag:emoticons, facebook, generazione, linguaggio mediatico, msn, sms, XD . Autore: Diariodall'Apocalisse . Comments: 3 commenti